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4 Aprile 2014

Il video ripercorre la storia e il processo del Trattato di Ottawa e del movimento internazionale, presentando gli attori principali, la natura del processo di Ottawa ed i risultati raggiunti ad oggi.

Il film mette in luce come il trattato è il modo migliore per affrontare il problema delle mine terrestri. Tutti i Paesi devono aderire al trattato ed alla sua piena attuazione: distruggere tutte le scorte di mine immagazzinate negli arsenali , bonificare i terreni infestati da questi ordigni ed assistere le vittime.

Sono stati fatti incredibili progressi, ma c’è ancora molto concreto lavoro da fare.
L’ICBL non si fermerà fino a quando non avrà raggiunto l’obiettivo di porre fine alle sofferenze causate dalle mine antiuomo.
Nel nostro 20 ° anniversario, ed a 15 anni dalla firma del Trattato, stiamo sfidando a tutti voi a persistere e contribuire per finire il lavoro e liberare il mondo dalle mine una volta per tutte, in anni non in decenni

Trattato ATT

Trattato Onu

Il primo aprile 2013 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato il primo Trattato a vocazione universale sul commercio delle armi convenzionali (Arms Trade Treaty, ATT). La risoluzione è stata approvata a larga maggioranza (154 voti a favore). Fra i paesi astenuti (23) figurano Cina, Federazione russa e India, mentre la Repubblica democratica di Corea, Iran e Siria hanno espresso voto contrario. Questo risultato storico è arrivato al termine di un lungo negoziato avviato dalla stessa Assemblea generale nel 2006, e dopo il fallimento di due Conferenze diplomatiche tenutesi a New York, rispettivamente nel luglio 2012 e nel marzo 2013.

Il processo per la conclusione del Trattato è stato possibile grazie all’impegno delle organizzazioni non governative. Sul fronte politico-diplomatico appare decisivo il mutamento di prospettiva da parte di alcuni tra i maggiori produttori di armi, in particolare gli Stati Uniti che, dopo l’insediamento dell’amministrazione Obama, hanno iniziato a sostenere questo progetto.

Il Trattato ha finalità di controllo degli armamenti. Stabilisce alcuni standard comuni per il commercio internazionale delle armi convenzionali, anche al fine di prevenire e sradicare il loro traffico illecito, e rappresenta un bilanciamento tra gli interessi dei paesi produttori ed esportatori e le esigenze umanitarie e di sicurezza internazionale.

Troppo poco
Il Trattato ha un ambito di applicazione materiale piuttosto limitato in quanto si applica soltanto alle armi convenzionali incluse nell’apposito Registro delle Nazioni Unite (carri armati, veicoli da combattimento corazzati, sistemi di artiglieria di largo calibro, aeromobili ed elicotteri da combattimento, navi da guerra e sottomarini, missili e lanciatori terrestri), con l’apprezzabile aggiunta delle armi di piccolo calibro e leggere, secondo lo schema cosiddetto (7+1). Appare criticabile che munizioni, singole parti e componenti delle armi convenzionali non assemblate fuoriescano dal campo di applicazione del Trattato.

Gli Stati parti hanno però l’obbligo di introdurre e mantenere un sistema di controllo nazionale sulla loro esportazione in base ai parametri indicati dal Trattato. Suscita anche perplessità che il Trattato disciplini soltanto i trasferimenti di armi tra Stati, in particolare in considerazione dell’ingente flusso di armi di piccolo calibro e leggere verso gli attori non statali, in assenza di norme internazionali regolatrici adeguate. Al riguardo, il Trattato si limita ad indicare alcune misure minime per impedire la diversione delle armi verso il mercato nero.

Obblighi
In base al Trattato i trasferimenti internazionali, nel cui ambito si collocano le attività di esportazione, importazione, transito, trasbordo e intermediazione (il cui inserimento nel testo rappresenta un risultato importante) devono avvenire su base non discriminatoria e nel rispetto di alcuni criteri-guida, ispirati dal principio: no weapons for abuse.

In particolare, gli Stati hanno il dovere di non autorizzare alcun trasferimento di armi (incluse munizioni, singole parti e componenti) in violazione di obblighi derivanti da decisioni adottate dal Consiglio di sicurezza in base al Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, quali ad esempio gli embarghi di armi; oppure in contrasto ad obblighi convenzionali assunti tramite altri accordi internazionali sui trasferimenti o per la repressione del traffico delle armi convenzionali; infine, nel caso in cui abbiano la “consapevolezza”, al momento della concessione dell’autorizzazione, che le armi saranno utilizzate per commettere genocidi, crimini contro l’umanità e alcune fattispecie di crimini di guerra (tra cui figurano le infrazioni gravi alle Convenzioni di Ginevra del 1949, gli attacchi diretti contro i civili e i beni civili, e i crimini di guerra stabiliti dai trattati di cui gli Stati siano parti).

In tal modo, è affermato un principio di responsabilità per complicità (fornire aiuto o assistenza) dello Stato che autorizza il trasferimento in relazione ad un illecito commesso da un altro Stato. Quest’ultimo tipo di responsabilità è però difficile da accertare in quanto richiede l’intenzionalità dello Stato nel concorrere alle violazioni altrui, o quantomeno che le armi fornite contribuiscano materialmente all’atto illecito.

Il Trattato impone ulteriori obblighi agli Stati. Le autorizzazioni alle esportazioni non possono essere concesse nel caso sussista un rilevante rischio (overriding risk) che le armi contribuiscano a minacciare la pace e la sicurezza, ovvero possano essere utilizzate per commettere o facilitare violazioni gravi del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani, oppure atti di terrorismo o reati di criminalità organizzata transnazionale in base ai trattati da essi stipulati.

La valutazione (risk assessment) spetta agli Stati, i quali nel prendere la decisione finale devono tenere in considerazione tutti i fattori rilevanti, incluse eventuali misure di mitigazione del rischio. Questo parametro appare maggiormente obiettivo rispetto al requisito della consapevolezza, in quanto non si basa sul concetto di complicità e stabilisce un dovere di indagine preventiva da parte dello Stato esportatore circa l’utilizzo finale che sarà fatto delle armi trasferite.

Controllo
Il Trattato non prevede un sistema di controllo istituzionalizzato, ma stabilisce una serie di misure di “trasparenza” quali: l’obbligo di designare le autorità statali preposte al sistema di controllo nazionale sui trasferimenti, nonché uno o più punti per consentire lo scambio di informazioni su aspetti che riguardano l’attuazione del Trattato; l’obbligo di tenuta dei registri nazionali relativi alle esportazioni e di inviare al Segretariato (istituito dal Trattato) rapporti annuali sui trasferimenti autorizzati.

Allo scopo di monitorare costantemente lo stato di attuazione del Trattato è infine indicata l’istituzione di una Conferenza degli Stati parti, priva però del potere di adottare misure sanzionatorie nei confronti degli Stati che non adempiano agli obblighi assunti. Fra l’altro, il Trattato non contempla alcuna procedura obbligatoria di soluzione delle controversie.

In conclusione, il testo finale del Trattato appare realisticamente il migliore dei risultati possibili. Sancisce il principio di trasparenza e contiene regole robuste per attenuare il rischio che i trasferimenti di armi siano funzionali alla commissione di gravi abusi dei diritti umani e ad alimentare i conflitti armati.

Le lacune e i compromessi che lo caratterizzano sono l’inevitabile conseguenza delle estenuanti trattative che hanno accompagnato la sua redazione. L’attenzione si sposta ora sulla campagna per l’entrata in vigore, in tempi ragionevoli, del Trattato, che si preannuncia tutt’altro che facile, essendo necessario raggiungere un numero minimo di cinquanta ratifiche.

Articolo tratto da Affari Internazionali Rivista Online di politica, strategia ed economia
http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=2290

Christian Ponti è ricercatore, dipartimento di studi internazionali, giuridici e storico-politici, Università degli studi di Milano.


APPROFONDIMENTO:

Ernestina Scalfari
Arms Trade Treaty: un successo parziale? 

tranarnsusa

DISINVESTMENT

INVESTIMENTI DA FAR CADERE LE BRACCIA …
… PIU’ DI 24 MILIARDI DI DOLLARI INVESTITI IN PRODUTTORI DI BOMBE A GRAPPOLO
LA LEGGE ITALIANA NEL DIMENTICATOIO DI CAMERA E SENATO

ROMA. 12/12/2013 – COMUNICATO STAMPA – 139 le istituzioni finanziarie che tutto il mondo continuano ad investire oltre 24 miliardi di dollari in società produttrici di munizioni a grappolo, questo evidenzia il rapporto lanciato oggi dal membro di Cluster Munition Coalition IKV Pax Christi (Paesi Bassi) .

Presentato oggi il rapporto “Worldwide Investments in Cluster Munitions: una responsabilità condivisa”, il quale fornisce i dettagli dell’entità degli investimenti da parte di banche, fondi pensione ed altre istituzioni finanziarie nei produttori in questo sistema d’arma.
Oggi gli attivisti della Cluster Munition Coalition prendono parte alla giornata di azione globale sul disinvestments che invita le istituzioni finanziarie di tutto il mondo a porre fine a tutti gli “investimenti esplosivi” a favore dei produttori e richiama i governi alla necessità di introdurre una legislazione nazionale per vietare gli investimenti in società che producono munizioni a grappolo e mine antipersona vietate da Convenzioni internazionali di messa al Bando, sottoscritte e ratificate anche dal nostro Paese. L’Italia, nella sua legge di ratifica 95/2001 della Convenzione di Oslo per la messa al bando delle Cluster bombs, ha previsto nel suo articolo 7 delle sanzioni penali anche il supporto finanziario, la norma di legge già esiste. Per regolarne degli aspetti tecnici e di controllo e concertare anche con le istituzioni bancarie una presa di posizione chiara e condivisa, è stato avviato, su richiesta della società civile, un iter legislativo specifico procedendo alla presentazione di un progetto di legge ad hoc che, però, approvata in un ramo del Parlamento nella precedente legislatura non ha potuto completare l’iter a causa della caduta del Governo Monti. Ripresentata nella attuale Legislatura al Senato dalla Senatrice Silvana Amati ed alla Camera dall’Onorevole Federica Mogherini, rimane in attesa di esame e discussione.

“Chiediamo di avviare un iter veloce per la discussione ed approvazione di questo disegno di legge che tra i vari cambi di Governo già attende da ben 4 anni -dichiara Giuseppe Schiavello direttore della Campagna Italiana Contro le Mine- se questo non sarà possibile a breve avvieremo sulla base della norma esistente una segnalazione alla Procura della Repubblica perché valuti se alcune Istituzioni finanziarie non operino già in violazione di una legge dello Stato, nello specifico l’art. 7della legge 95 del 2011 -aggiunge Schiavello– E’ bene che si sappia, che tutti sappiano, che con alcuni dei nostri risparmi le banche attraverso diversi strumenti finanziari scelgono di sovvenzionare la produzione armi che mutilano donne, anziani, bambini e civili in genere. Non ci interessa con quale progetto di responsabilità sociale alcune di esse si illudano o vogliano illudere di compensare scelte terribili, è un dato di fatto che alcune atrocità non si compensano, non ci riescono e devono smettere di finanziare costruttori di armi bandite dal nostro Paese. Predicare bene e razzolare male è uno stile di responsabilità sociale che non appassiona nessuno, se non coloro che credono possibile ingannare i propri clienti simulando un buon comportamento grazie anche quelle ONG che plasmano i loro progetti sulle necessità di “lifting etico” del mondo bancario e finanziario” -conclude Schiavello.
“L’anomalia – interviene Santina Bianchini Presidente della Campagna Italiana Contro le Mine- è che aziende produttrici di un armi bandite in patria trovino finanziamenti da parte di istituzioni finanziarie nazionali in altre parti del mondo. Questi finanziamenti si collocano al di fuori della legge già approvata e se non si troverà la volontà di discuterne una più specifica a garanzia di alcune specificità agiremo di conseguenza. Invieremo una copia di questa pubblicazione ai parlamentari delle commissioni competenti- Conclude Bianchini.

INFORMAZIONI

Le munizioni a grappolo sono state recentemente utilizzate contro i civili in Siria. Queste armi hanno ucciso e ferito migliaia di persone per decenni, motivo per cui la maggior parte delle nazioni del mondo le ha bandite. La Siria è tra i Paesi aderenti alla Convenzione 2008 sulle munizioni a grappolo. Il nuovo rapporto IKV Pax Christi evidenzia che le istituzioni finanziarie hanno investito in aziende produttrici munizioni a grappolo dal giugno 2010. La maggior parte di questi investimenti provengono da istituzioni finanziarie in Stati che non hanno ancora aderito alla Convenzione sulle munizioni a grappolo.

La ‘Hall of Shame” del rapporto comprende 22 istituzioni finanziarie di 6 paesi che fanno parte della Convenzione 2008 sulle munizioni a grappolo: Canada, Francia, Germania, Giappone, Svizzera e Regno Unito. Il numero di istituzioni finanziarie che investono in società produttrici di munizioni a grappolo rimane alto, la relazione indica inoltre che diverse istituzioni finanziarie e governi stanno predisponendo le politiche per garantire che il capitale per i produttori di bombe a grappolo non sia più disponibile. L aggiornamento 2012 del rapporto documenta che quattro nuovi stati hanno adottato una legislazione che vieta gli investimenti in munizioni a grappolo (Liechtenstein, Paesi Bassi, Samoa e Svizzera), portando il numero totale di paesi con un divieto di investimento a nove. Ventisette paesi hanno dichiarato che gli investimenti in munizioni a grappolo sono o possono essere visti come già vietati dalla Convenzione sulle munizioni a grappolo.
Gli attivisti segnano la giornata di azione globale per fermare gli investimenti esplosive in tutto il mondo, tra cui Belgio, Danimarca, Germania, Italia, Giappone, Lussemburgo, Paesi Bassi, Corea del Sud, Spagna, Svizzera e Regno Unito.

CONTATTI

Italia: Giuseppe Schiavello (Campagna Mine): 340.4759230 – g.schiavello@campagnamine.org

Francesco Vignarca (Rete Disarmo): segreteria@disarmo.org

Per maggiori informazioni sul report contattare:

Jared Bloch, CMC Media & Communications Manager , Tel. :  +41 786 83 4407 , Email: jared@icblcmc.org

Sarah Blakemore, direttore CMC, Tel : +44 7889 81472, e-mail : sarah@icblcmc.org

Samantha Bolton – consulente media per IKV Pax Christi (a Copenaghen) Tel: +41 (0) 79 239 2366 , Email: samanthabolton@gmail.com

• Per scaricare “Worldwide Investments in Cluster Munitions, una comune responsabilità” visitare www.ikvpaxchristi.nl/stopexplosiveinvestments

• Per ulteriori informazioni sulla campagna per fermare gli investimenti esplosivi visitare http://www.stopexplosiveinvestments.org