I Paesi Baltici si ritirano dal Trattato sulla messa al bando delle mine


Ginevra, 1° luglio 2025 – I Paesi Baltici Estonia, Lettonia e Lituania hanno notificato formalmente agli Stati Parte la loro intenzione di ritirarsi dal Trattato di messa al bando delle mine antipersona, secondo quanto dichiarato dall’Ambasciatrice Ichikawa Tomiko, Rappresentante Permanente del Giappone presso la Conferenza sul Disarmo e Presidente della 22ª Riunione degli Stati Parte.
Conformemente all’articolo 20 della Convenzione, il ritiro avrà effetto sei mesi dopo che il Deposito delle Nazioni Unite riceverà lo strumento formale di recesso. Questi ritiri segnano un arretramento senza precedenti rispetto a un accordo di disarmo umanitario di fondamentale importanza, che ha salvato innumerevoli vite sin dalla sua adozione nel 1997. La Campagna Internazionale per la Messa al Bando delle Mine (ICBL) condanna fermamente la decisione di questi paesi di abbandonare norme globali consolidate, progettate per “porre fine alla sofferenza e alle vittime causate dalle mine antipersona”.
“Lo scopo degli strumenti umanitari internazionali come il Trattato sulle Mine è di porre limiti ai mezzi e ai metodi di guerra nel caso in cui uno Stato sia coinvolto in un conflitto armato,” ha dichiarato Tamar Gabelnick, direttrice dell’ICBL. “Perciò è di una cattiva fede sorprendente ritirarsi da tali impegni proprio nel momento in cui un conflitto potrebbe profilarsi all’orizzonte.”
Dopo l’Ucraina continua l’uscita dal Trattato di Ottawa
Il Trattato di messa al bando delle mine, attualmente sottoscritto da 166 paesi, vieta l’uso, lo stoccaggio, la produzione e il trasferimento di mine antipersona, e impone agli Stati Parte di assistere le vittime e bonificare le aree minate. Questi ritiri colpiscono al cuore un trattato che ha ridotto drasticamente l’uso delle mine e stigmatizzato un’arma vietata per la sua natura indiscriminata e per il suo impatto devastante sui civili, anche decenni dopo la fine dei conflitti.
I tre Stati membri dell’Unione Europea hanno giustificato la loro rinnovata adesione all’uso delle mine antipersona citando l’aggravarsi delle preoccupazioni regionali per la sicurezza e la necessità di proteggere meglio i loro confini. Queste giustificazioni contrastano fortemente con il consenso globale schiacciante secondo cui il costo umanitario delle mine supera di gran lunga qualsiasi presunto vantaggio tattico. Le prove storiche e le moderne tecnologie di apertura dei passaggi dimostrano che i campi minati di confine possono essere superati in pochi minuti, mentre l’uso delle mine antipersona in altre aree mette in pericolo e limita la mobilità tattica degli stessi soldati dell’esercito.
I tre Stati avevano già annunciato collettivamente le loro intenzioni all’inizio del 2025, seguite da votazioni parlamentari nelle ultime settimane. L’uscita coordinata di oggi rappresenta la prima volta in cui un paese si ritira dal Trattato sulle Mine dall’entrata in vigore dello stesso, e solo la seconda volta in cui uno Stato si ritira da un trattato che vieta un’intera categoria di armi. La Lituania aveva già deciso di uscire dalla Convenzione sulle Munizioni a grappolo nel 2024, citando le stesse preoccupazioni per la sicurezza. Anche i governi di Finlandia e Polonia hanno deciso di uscire dal Trattato sulle Mine, ma non hanno ancora notificato formalmente la decisione agli Stati Parte o alle Nazioni Unite.
Il 29 giugno, il presidente ucraino Zelensky ha firmato un decreto annunciando l’intenzione di uscire dal Trattato, (qui nel dettaglio) ma il trattato vieta il ritiro di qualsiasi Stato Parte coinvolto in un conflitto armato. L’Ucraina ha già subito gravi danni a causa dell’uso massiccio di mine antipersona da parte della Russia, e l’abbandono della convenzione potrebbe compromettere la sua capacità di ottenere finanziamenti per le operazioni di sminamento.
I paesi in via di ritiro hanno dichiarato che continueranno a rispettare i principi umanitari anche dopo essersi allontanati da un trattato concepito proprio per proteggere i civili. L’ICBL osserva che tali affermazioni sono profondamente fuorvianti. Non è possibile utilizzare un’arma intrinsecamente indiscriminata in modo conforme al principio di distinzione richiesto dal diritto internazionale umanitario, e le terribili ferite causate dalle mine violano il principio di proporzionalità.
Ivkov: “Le mine sono armi “non intelligenti” che uccidono civili”
“Le mine antipersona sono armi obsolete che non dovrebbero far parte di un arsenale moderno. Queste armi altamente ‘non intelligenti’ giacciono ciecamente e pazientemente nel sottosuolo finché qualcuno – quasi sempre un civile, troppo spesso un bambino – le calpesta,” ha dichiarato Dejan Ivkov, sopravvissuto a una mina e attivista dell’ICBL presso Assistance Advocacy Access-Serbia.
La Campagna Internazionale per la Messa al Bando delle Mine (ICBL) avverte che tali decisioni rischiano di annullare decenni di progressi e di indebolire le norme internazionali che proteggono i civili dalle armi indiscriminate. L’ICBL ha ripetutamente invitato questi Stati a rimanere nel trattato, sottolineando che è possibile costruire una solida capacità di autodifesa senza ricorrere all’uso di mine antipersona.
“La sicurezza di un paese non dovrebbe dipendere da un’arma che uccide e mutila principalmente civili. C’è ancora tempo per tornare al tavolo delle trattative e lavorare collettivamente a soluzioni che migliorino la sicurezza senza sacrificare le norme umanitarie,” ha concluso Gabelnick.