ROMA – Il Sipri di Stoccolma e Rete Disarmo, diffondono i dati relativi alle spese militari del 2015. I primi 15 paesi spendono per eserciti e armi almeno 1.350 miliardi di dollari (l’81% del totale). In testa gli Usa, quindi Cina e Arabia Saudita (che nel 2015 ha fatto crescere del 5,7% le proprie spese militari). L’approfondimento sulle mine anti persona, incalcolabile danno mondiale raccontato d Giuseppe Schiavello.

LA MAPPA DELLE MINE SPARSE NEL MONDO

Nel conteggio non figura il fitto mercato clandestino. La spesa militare mondiale è in crescita dal 2001, con un aumento di oltre il 50% e le cifre fornite dal Sipri sono relative soltanto ai bilanci statali: sfuggono, quindi, i valori delle forniture di armi a titolo gratuito e i traffici clandestini di armi piccole e leggere. L’ammontare complessivo per spese militari è di 1.676 miliardi di dollari, il 2,3% del prodotto interno lordo mondiale. I primi commercianti di armamenti restano gli Usa, che investono in armi poco meno di 600 miliardi di dollari e, da soli, contribuiscono al 36% della spesa militare complessiva. Dietro di loro la Cina, dove si registra una crescita di investimenti per armi del 7,4% (215 miliardi di dollari) e poi l’Arabia Saudita, che ha aumentato la propria spesa militare del 5,7% (oltre 87 miliardi di dollari). Anche la Russia incrementa il proprio commercio in armamenti, del 7,5% (oltre 66 miliardi di dollari totali).  “Questi dati vanno  letti come  trend generale, perché non è semplice valutare le effettive spese militari pubbliche – commenta Francesco Vignarca, coordinatore italiano di Rete Disarmo – Ma le indicazioni sono chiare: dopo 3 anni circa di rallentamento delle spese militari, causato dalla crisi finanziaria, è all’orizzonte una ripresa degli investimenti che va fermata, perché non  risolutiva di alcun conflitto”.

Cifre italiane e impegno contro le mine. In Italia, seguendo l’ultima legge di Stabilità, si raggiunge una spesa militare pari a 23,12 miliardi di euro, corrispondenti a 24 miliardi di dollari secondo i ricercatori svedesi del Sipri. Si segnala, così, un calo di spese per armamenti nell’ultimo decennio e l’Italia si pone al dodicesimo posto a livello mondiale. A questo dato (da prendere con le molle, secondo Rete Disarmo, a causa dei “meccanismi opachi di finanziamento militare, probabilmente impossibile da valutare nel suo complesso dal Stoccolma”), va aggiunto il lavoro dell’Italia nel programma di sminamento che, secondo il Trattato di Ottawa, dovrebbe avvenire entro il 2025. L’Italia, pur essendo stata uno dei maggiori produttori di mine anti persona, ha firmato tra i primi paesi il Trattato di Ottawa del 1997 e, da allora, ha iniziato a non produrne più, nonostante gli attuali 3.000 interventi l’anno dei nostri militari per bonificare ordigni risalenti alla seconda guerra mondiale. Da gennaio 2016, per altro, presiede il Mine Action Support Group (Masg): il gruppo internazionale che coordina i programmi di sminamento umanitario dei maggiori paesi donatori.

Ma il mondo è pieno di mine. L’Italia si pone dunque come esempio per lo sminamento del pianeta, ma l’aumentare delle guerre e della loro natura subdola e nevrotica, tiene alto il livello di guardia mondiale su mine, bombe a grappolo (cluster) e ordigni inesplosi. Nel difficile tentativo di decifrare un numero anche sommario di mine, si calcola che 70 paesi ne siano invasi, per un numero assai approssimativo di 110 milioni di ordigni inesplosi, soprattutto in Afghanistan, Cambogia, ex Jugoslavia. Come scritto da Ban Ki-moon nella Giornata contro le mine delle Nazioni Unite del 4 aprile: “Vi è un urgente bisogno di un maggiore impegno, così come l’accesso completo e senza ostacoli per tutte le attività di sminamento”.

Lo Yemen infestato dalle mine Usa e brasiliane. Dal  26 marzo 2015, la coalizione guidata dall’Arabia Saudita, sta conducendo bombardamenti utilizzando bombe cluster, armi messe al bando dalla Convenzione sulle Munizioni Cluster (Ccm) del 2008. Delle vittime registrate nel 2015, il 98% è rappresentato da civili, di cui il 30% da bambini. Gli ordigni ritrovati, di sei tipi differenti, sono stati prodotti negli Usa e in Brasile. Il conflitto in Yemen rappresenta la maggiore crisi umanitaria del Medio Oriente: oltre 2.000 civili uccisi, di cui 400 bambini. 1,4 milioni di persone sfollate all’interno del paese. L’ 80% della popolazione necessita di cibo, acqua, casa, carburanti e raccolta rifiuti. “Riteniamo doveroso lanciare un appello per l’immediata sospensione di qualsiasi uso di munizioni cluster in Yemen – dichiara Giuseppe Schiavello, direttore della Campagna italiana contro le mine – Il fatto che i paesi membri della coalizione guidata dall’Arabia Saudita, non siano parte della Convenzione che mette al bando queste armi ci deve far riflettere sull’urgenza  dell’universalizzazione di questo Trattato.”

Sminare intere nazioni per far tornare a casa i profughi. L’importanza di agire contro le mine verrà ribadita anche al primo World humanitarian summit, che si terrà a Instanbul in maggio. Una relazione del Segretario Onu metterà in evidenza l’impatto inaccettabile delle mine e dei residuati bellici inesplosi sui civili: “La Mine Action è un’azione umanitaria e, oggi più che mai, è fondamentale per preparare la pace e la sicurezza in tutte le aree che sono state, o sono ancora, martoriate da conflitti – conclude Schiavello –  La bonifica significa liberare le strade e le vie di comunicazioni per far arrivare i necessari aiuti umanitari, significa  mappare e circoscrivere le aree maggiormente a rischio, assicurare il rientro in sicurezza a profughi o rifugiati. La mine action si iscrive in quelle attività fondamentali senza la quale, per decine e decine di anni, la guerra troverà eco nell’esplosione dei residuati bellici. Le mine sono oggi il simbolo di ciò che rappresentano gli ordigni inesplosi, causa di dolore e morte. Per questo motivo  bisogna includere la Mine Action tra i punti dell’Agenda dell’Umanità, che verrà stilata a Istanbul”.